O Centro de Cultura Italiana, ITALIANOGGI, situado no setor Coimbra tem o prazer de ter este blog para manter você informado dos programas e eventos que são realizados durante o ano letivo. Queremos que todos participem atuantemente. Para que você participe crie um e-mail no gmail, yahoo ou envie seus comentários e matérias para: adm.rodrigonunes@gmail.com . APRENDA, CONHEÇA E AME A CULTURA ITALIANA.
segunda-feira, 24 de outubro de 2011
TI PIACE IL MOLISE
segunda-feira, 10 de outubro de 2011
CULINARIA
CULINARIA
http://www3.lastampa.it/
http://www3.lastampa.it/
FRATELLI DI TEGLIA
01/09/2011 -
Per apprezzare la toma
ci vuole un bel tomo
Se c’è un formaggio che identifica il Piemonte questo è la toma, anche se ufficialmente si chiama il toma. Lo fanno a Biella come a Cuneo, nel Torinese come nell’Alessandrino. Siccome in Italia tutto è complicato, c’è chi dice che il nome toma venga però dalla Sicilia (dove si fa la tumma), attraverso la Francia (dove si fa latomme ). Infatti particolarmente pregiata è la toma di pecora brigasca, che vive a Briga o Brigue, paese di confine tra Italia e Francia. Di sicuro le tracce di questo prodotto di latte vaccino (ma si fa anche con quello di capra, come abbiamo visto prima, tanto per complicare le cose) si perdono nel Medioevo. Allora pare fosse però diverso da oggi perché più stagionato e piccante e le cronache tardo- medievali dicono che proprio per questa caratteristica fosse un cibo dei poveri: si saziavano in fretta e con questo formaggio sostituivano le spezie, molto care.
E’ chiaro a questo punto che per parlare in modo esauriente della toma ci vorrebbe un trattato di «tomistica», che per il suo spessore sarebbe un bel tomo. D’altronde non potrebbe essere piccolo perché in tal caso si confonderebbe con il tomino, la formaggella fresca che nelle osterie o piole torinesi si accompagna con le salse al peperoncino, diventando il tomino «elettrico». Nonostante sia simbolo del Piemonte, la toma non si è diffusa oltre i confini regionali con l’Unità d’Italia. Un tentativo di lanciarlo nella capitale, negli Anni 60, pare sia andato a vuoto benché fosse già pronto lo slogan: «Toma, nun fa’ la stupida stasera».
Grappa, figlia dell'alambicco
e madre della patria
Il nostro Paese ha tanti padri della Patria (da Cavour a Garibaldi, da Mazzini a Vittorio Emanuele II) ma di sicuro una sola madre: la grappa. Che lo sia infatti non v’è dubbio: basti ricordare che il Monte Grappa, monte sacro della prima guerra mondiale, si chiamava Alpe Madre. E che molti garibaldini del bergamasco e del Veneto durante l’impresa dei Mille portavano nelle fiaschette o sognavano la grappa delle loro valli. Per la grappa, come per le madri, quel che conta è il cuore, mentre non deve avere né colpi di coda né colpi di testa (quel che si beve viene dalla fase centrale della distillazione delle vinacce, il resto è quasi veleno).
In un paese di filosofi in cui molti si lambiccano, la grappa è frutto dell’alambicco. Il che a che fare con l’alchimia, d’altronde pare che il primo a descrivere il processo di distillazione per ottenere quella che allora si chiamava acquavite sia stato un alchimista arabo, il cui nome Abu Beckr Mohamed Ibn-Zàkariaya el-Rhazi , sembra frutto di un’ubriacatura. Da noi il primo trattato sull’argomento è opera nel XVI secolo di un medico padovano zio di Savonarola (al frate però il fuoco in corpo non lo mise il distillato). Prodotta artigianalmentein tutta la cerchia alpina la grappa ha nomi che variano di regione in regione. In Veneto rispondono con la sgnapa valley alla Napa Valley californiana. La grappa è la «benzina» degli alpini che sono in grado di berla a qualunque ora del giorno e della notte. E come dicono a Bassano del Grappa che delle penne nere è la capitale, per un alpino il buon giorno si vede dal grappino.